La classe docente va in paradiso
Valentina Giordano
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La classe docente va in paradiso
Realizzato nel 2009 con la Civica scuola di Cinema di Milano, il documentario di Valentina Giordano affronta la complessa e delicata situazione della classe docente italiana, alle prese con forme di precarietà sempre più persistenti e una crisi di legittimazione che è allo stesso tempo sociale, politica, professionale. Una regia spigliata e fresca sa rendere a pieno il senso di disagio ma anche di dignità, di precarietà ma anche di passione che anima i giovani insegnanti protagonisti della narrazione. L’uso del bianco e nero, la mobilità, la vicinanza, quasi l’empatia della macchina da presa non solo con il flusso degli eventi, ma con i corpi, i volti, i gesti degli insegnanti precari che prendono parola conferisce a questa opera una penetrante capacità di racconto: per un verso le voci stesse dei protagonisti che con sorprendente lucidità evocano le speranze, le frustrazioni, la pungente consapevolezza sul proprio ruolo e sulla sua importanza, la solitudine generale, l’incertezza del futuro, la grande ricchezza umana del loro mestiere. Per un altro il ricco mosaico di riflessioni e testimonianze si organizza come un saggio sulla scuola e sulla vita civile tout court, sull’apprendere e sul ruolo del sapere oggi, sulle prospettive di un’intera civiltà basata sulla trasmissione dei saperi. Il linguaggio stesso del documentario, che più che dare la parola ai protagonisti la insegue nel precario viavai dei loro spostamenti quotidiani, dimostra una rara capacità camaleontica: nascondere lo sguardo della macchina da presa dietro quello di chi parla, ma allo stesso tempo permetterle di organizzare l’intero discorso. A sei anni di distanza il documentario sembra ancora più attuale considerando che tra i giovani insegnanti intervistati nessuno ha lasciato la condizione di precario, tranne chi ha deciso di abbandonare. Attuale soprattutto se si considera il paradosso che vive la scuola anche in un paese tra i più ricchi come l’Italia, cioè quello di rendere duratura, chissà permanente, una situazione che dovrebbe essere per definizione transitoria, emergenziale: come se la precarietà intaccasse non solo il lavoro della scuola, ma il sapere stesso, nella sua qualità di eredità da trasmettere.
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